mercoledì 26 gennaio 2011

Qualcosa che non sapevate


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Nel 1972, un camion che trasporta macchine da cucire fa un incidente sotto il Monte Bianco. Muoiono ventotto lavoratori africani del Mali, nascosti nel furgone da giorni in viaggio verso la Francia, verso un lavoro e condizioni di vita migliori. L’eco della tragedia arriva fino agli organismi delle Nazioni Unite.
Poi passano vent’anni, siamo nel 1990. Vede la luce la Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Entra in vigore nel 2003, quando viene ratificata dal ventesimo Paese: il Guatemala. Questa Convenzione ha il merito di tutelare i diritti umani dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status giuridico.
La sua efficacia è assai limitata però, perché dei quarantaquattro Paesi ad oggi firmatari, neanche uno rientra nei “paesi ricchi”, i cosiddetti Paesi destinatari. Destinatari di cosa? Dei benefici del lavoro migrante, che ha finora evitato il crollo del nostro sistema economico.

I dati dell’ILO (Organizzazione Internazionale dei Lavoratori) sono di facile lettura, anche per chi non ne vuole sapere di affrontare con serietà e responsabilità la questione. Tredici milioni: questo è il numero di lavoratori migranti che può alleviare la cronica carenza di manodopera e competenze nei Paesi dell’area OSCE. I numeri del rapporto ci raccontano un’Europa occidentale che invecchia, invecchia perché le condizioni di vita sono migliorate e l’età media si è alzata, ma anche perché i tassi di natalità sono in calo. Per colmare il deficit di lavoratori in età produttiva che possano sostenere i costi dell’enorme sistema pensionistico, dovremmo sperare che almeno tredici milioni di immigrati annui vengano a lavorare nel nostro continente per i prossimi tre decenni. Non avremmo la certezza di salvare le nostre economie e i sistemi di welfare, ma forse ci darebbe una possibilità.

Invece. Invece l’inerzia dell’Unione Europea ha costretto i singoli Stati a prendere provvedimenti nazionali. Nazionali, quindi disomogenei tra loro. E spesso condizionati dagli umori elettorali e dalla grettezza delle soluzioni, quando non cavalcati dalla paura, montata ad arte dai governanti per tenere uniti i cittadini e distoglierli dall’aumentata disoccupazione, dai tagli in busta paga, dagli aumenti di bollette e servizi.
La paura è il più potente collante sociale. Probabilmente seconda solo al consenso. Ma il consenso bisogna ottenerlo con la fiducia, l’onesto perseguimento degli obiettivi, il coinvolgimento della popolazione. Mentre la paura è alla portata di qualsiasi cretino.

In breve, noi abbiamo bisogno del lavoro di tredici milioni di nuovi migranti all’anno, ma la crisi economica e l’incompetenza generale delle classi politiche consiglia di trovare un nemico della società contro cui compattare il popolo e dietro cui nascondere la propria inadeguatezza. La miopia delle scelte (respingimenti in alto mare, centri di identificazione ed espulsione, accordi regionali singoli) umilia e mortifica gli uomini che potrebbero darci una possibilità di evitare il crollo. In cambio, chiedono solo il riconoscimento del loro status, il rispetto dei diritti fondamentali e di quelli derivanti dalla loro condizione di migranti. Tutto è scritto nella Convenzione del 1990, ma nessuno dei Paesi europei, del Nord America o della ricca Asia vi ha aderito. Di fatto, è come aver firmato il proprio disimpegno al riconoscimento di diritti umani fondamentali. Ciò vuol dire che pur di evitare quel riconoscimento, e pur godendo tutt’oggi dei vantaggi inestimabili del lavoro migrante, gli Stati non faranno assolutamente nulla per rispondere all’annunciato ed imminente crollo.

Quando siamo diventati così stanchi? Quando siamo diventati così indifferenti da lasciarglielo fare? Perché dovremmo permetterglielo? Perché dovremmo accontentarci di una classe politica che non ha né forza né coraggio per fronteggiare le sfide che ci attendono? Perché non dovremmo pretendere responsabilità e competenza da chi ci governa? Dobbiamo prendere coscienza che dipende solo da noi. Non c’è nessuna ragione che giustifichi la nostra inerzia. Non c’è mai.

1 commento:

  1. E' DIFFICILE. Non è sicuramente mero esercizio numerico sapere quanti migrati servono per salvarci. E non è sicuramente l'esercitazione coercitiva dell' insegnamento alla paura del diverso a far migliorare una situazione di malessere generalizzato. Ho paura che ci sia un filo più sottile, subdolo, che avvicina quello che sta accadendo in questi ultimi anni a quanto ci ha illustrato il bravo Paolini in "Ausmerzen". In questi giorni di "memoria del passato" si rivivono con orrore situazioni che non avremmo mai voluto vedere e che troppi ancora negano; in questi giorni meccanismi perversi sfruttano manualità in nero salvo poi rigettarla al suo destino in patria; in questi giorni di aumenti di bollette e di disoccupazione, di diritti persi in fabbrica, di lubridi scandali poliici e privati, in questi giorni... HO PAURA (sì, la paura mi è stata trasmessa) che se rivolgo lo sguardo oltre il limite mi possa apparire un baratro senza appigli.
    La decenza di chi ha la presunzione di governarci è purtroppo illimitata ma la capacità di indignazione del popolo italiano per fortuna (forse) NO. Anche perchè se così non fosse stato ora avremmo potuto ritrovarci nelle drammatiche situazioni che stanno bruciando in questi giorni i paesi del nord Africa e l' Albania, paesi dai quali provengono molti dei migranti da noi prima sfruttati e poi ricacciati.
    Quel sottile, subdolo, filo che mi spaventa...
    Perchè stanchi, indifferenti? Forse per paura che nella ribellione alle prevarcazioni giornaliere si possa perdere il proprio "orticello" di meschine inutili priorità conquistate e, di consequenza, il rifiuto a combattere. Forse per paura di un futuro che si potrebbe invece programmare con un po' di buonsenso, volontà e lungimiranza. Perchè no

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