lunedì 31 gennaio 2011

Articolo 54

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.


mercoledì 26 gennaio 2011

Qualcosa che non sapevate


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Nel 1972, un camion che trasporta macchine da cucire fa un incidente sotto il Monte Bianco. Muoiono ventotto lavoratori africani del Mali, nascosti nel furgone da giorni in viaggio verso la Francia, verso un lavoro e condizioni di vita migliori. L’eco della tragedia arriva fino agli organismi delle Nazioni Unite.
Poi passano vent’anni, siamo nel 1990. Vede la luce la Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Entra in vigore nel 2003, quando viene ratificata dal ventesimo Paese: il Guatemala. Questa Convenzione ha il merito di tutelare i diritti umani dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status giuridico.
La sua efficacia è assai limitata però, perché dei quarantaquattro Paesi ad oggi firmatari, neanche uno rientra nei “paesi ricchi”, i cosiddetti Paesi destinatari. Destinatari di cosa? Dei benefici del lavoro migrante, che ha finora evitato il crollo del nostro sistema economico.

I dati dell’ILO (Organizzazione Internazionale dei Lavoratori) sono di facile lettura, anche per chi non ne vuole sapere di affrontare con serietà e responsabilità la questione. Tredici milioni: questo è il numero di lavoratori migranti che può alleviare la cronica carenza di manodopera e competenze nei Paesi dell’area OSCE. I numeri del rapporto ci raccontano un’Europa occidentale che invecchia, invecchia perché le condizioni di vita sono migliorate e l’età media si è alzata, ma anche perché i tassi di natalità sono in calo. Per colmare il deficit di lavoratori in età produttiva che possano sostenere i costi dell’enorme sistema pensionistico, dovremmo sperare che almeno tredici milioni di immigrati annui vengano a lavorare nel nostro continente per i prossimi tre decenni. Non avremmo la certezza di salvare le nostre economie e i sistemi di welfare, ma forse ci darebbe una possibilità.

Invece. Invece l’inerzia dell’Unione Europea ha costretto i singoli Stati a prendere provvedimenti nazionali. Nazionali, quindi disomogenei tra loro. E spesso condizionati dagli umori elettorali e dalla grettezza delle soluzioni, quando non cavalcati dalla paura, montata ad arte dai governanti per tenere uniti i cittadini e distoglierli dall’aumentata disoccupazione, dai tagli in busta paga, dagli aumenti di bollette e servizi.
La paura è il più potente collante sociale. Probabilmente seconda solo al consenso. Ma il consenso bisogna ottenerlo con la fiducia, l’onesto perseguimento degli obiettivi, il coinvolgimento della popolazione. Mentre la paura è alla portata di qualsiasi cretino.

In breve, noi abbiamo bisogno del lavoro di tredici milioni di nuovi migranti all’anno, ma la crisi economica e l’incompetenza generale delle classi politiche consiglia di trovare un nemico della società contro cui compattare il popolo e dietro cui nascondere la propria inadeguatezza. La miopia delle scelte (respingimenti in alto mare, centri di identificazione ed espulsione, accordi regionali singoli) umilia e mortifica gli uomini che potrebbero darci una possibilità di evitare il crollo. In cambio, chiedono solo il riconoscimento del loro status, il rispetto dei diritti fondamentali e di quelli derivanti dalla loro condizione di migranti. Tutto è scritto nella Convenzione del 1990, ma nessuno dei Paesi europei, del Nord America o della ricca Asia vi ha aderito. Di fatto, è come aver firmato il proprio disimpegno al riconoscimento di diritti umani fondamentali. Ciò vuol dire che pur di evitare quel riconoscimento, e pur godendo tutt’oggi dei vantaggi inestimabili del lavoro migrante, gli Stati non faranno assolutamente nulla per rispondere all’annunciato ed imminente crollo.

Quando siamo diventati così stanchi? Quando siamo diventati così indifferenti da lasciarglielo fare? Perché dovremmo permetterglielo? Perché dovremmo accontentarci di una classe politica che non ha né forza né coraggio per fronteggiare le sfide che ci attendono? Perché non dovremmo pretendere responsabilità e competenza da chi ci governa? Dobbiamo prendere coscienza che dipende solo da noi. Non c’è nessuna ragione che giustifichi la nostra inerzia. Non c’è mai.

venerdì 21 gennaio 2011

Teoria Ontologica di Ridondanza


di Fulvio Accardi

Non tratto di scienza, ma di pura intuizione.

Questa ipotesi si fonda su due fondamentali basi: la prima, insindacabile, secondo cui nella realtà nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma; la seconda, ancora al vaglio della comunità scientifica internazionale, che l'universo abbia una natura ciclica e ridondante di autorigenerazione, scandita da un momento iniziale chiamato Big Bang, da un momento di espansione, di successiva contrazione e infine di implosione, detto Big Crunch.
In verità esiste un'altra teoria riguardante le sorti dell'universo, denominata Big Rip, grande strappo, che comporterebbe la progressiva dispersione delle masse presenti nell'universo fino alla completa disgregazione di ogni legame tra la materia stessa.
Non potendo riconoscere in una sola di queste teorie una verità assoluta, siamo costretti a considerare un 50% di possibilità per ciascuna.
Quello che tenterò di spiegare in questo scritto è che, per un 50% di possibilità, senza scomodare alcun dio, siamo tutti immortali.

-Se l'universo è ridondante non ha propriamente né un inizio né una fine, poiché coinciderebbero con il loro rispettivo opposto, quindi l'universo è eterno, è ed è sempre stato. (Non fate quelle facce... se avete creduto a un tipo barbuto, eterno, onnisciente e paurosamente egocentrico, potete immaginare anche questo).

-Cosa succede nel passaggio tra due cicli universali: se la materia resta identica a se stessa ne consegue che la materia costituente il primo universo e quella del secondo siano la stessa.
Qui c'è un facile trabocchetto della logica: non dobbiamo pensare che ogni ciclo sia identico al precedente o al successivo, poiché la materia si ricombina seguendo un ordine di scrupolosa matrice caotica. Questo potrebbe spiegare il grande dilemma entropico del perchè il nostro universo è scrupolosamente bilanciato per ospitare vita, e quindi perchè esistiamo. Secondo questo schema è semplice, perchè in un sistema ridondante all'infinito la più remota improbabilità diventa certezza.

-Facciamo il punto della questione: dati gli elementi di sopra possiamo finalmente parlare di noi.
Cosa siamo oggettivamente? Tutto quello che siamo, percepiamo, pensiamo e facciamo è dovuto a una combinazione di materia. Le nostre emozioni sono dovute a equilibri chimici, la nostra pelle e il nostro corpo sono fatti di tessuti, cellule, atomi, nucleoni, elettroni, positroni e così via.
Immaginate che anche il più dimenticato elettrone del più inutile atomo, del più stupido pelo sul vostro naso venga dal Big Bang, e quindi dal Big Crunch, e quindi da un Big Bang precedente e così via. Persino il nostro pensiero è dovuto a combinazioni di materia.
Se tutto ciò che siamo è dovuto alle combinazioni della materia anche il nostro essere deve esserlo, e per "essere" non intendo la nostra individualità, intendo la nostra autocoscienza, il potere di autocontemplarci.

-Il tempo: il tempo esiste perchè ci siamo noi a percepirlo. Faccio un esempio, se perdete coscienza per 10 ore avvertite quelle 10 ore? No, perchè non siete coscienti per percepire il tempo che passa.
Se tu non percepisci il tempo, per te non esiste, e fa poca differenza se si tratti di 10 ore o 10 secoli, perchè li avvertirai come una frazione di secondo una volta che tornerai a percepirlo.

-Cosa avviene dopo la morte: la nostra morte è la fine di questa condizione di coscienza. La materia che ci compone si sfalda, si decompone, prende parte in altri organismi, si trasforma. A fine ciclo si ricompatta nel Big Crunch e ri-esplode col Big Bang espandendosi nell'universo via via nei miliardi di miliardi di cicli, contraendosi ed espandendisi caoticamente per forme sempre nuove, finché in un determinato ciclo non verrà a ricomporsi nella forma che oggi comporta il tuo essere autocosciente. Intendiamoci, con questo non parlo di reincarnazione o cazzate new age del genere, non intendo infatti che tornerai tu, perchè “tu” è un concetto fenotipico, più di carattere che di essere vero e proprio. Tu muori, viaggi per miliardi e miliardi e miliardi di cicli fino a ricombinarti uguale a te stesso e ad avere una percezione identica a quella di ora, ma come individuo nuovo, tabula rasa.

-Questo giochetto si ripete all'infinito da sempre e così sarà sempre, per questo siamo immortali.

(Al 50% eh...xD)

martedì 18 gennaio 2011

Quando l'esterofilia diventa ridicola

Mi rendo conto che l'argomento non debba occupare le prime pagine dei quotidiani, né possiamo essere troppo facili a scandalizzarci quando invece proviamo indifferenza per situazioni ben più gravi. Ma urge una riflessione: mi rifiuto di credere che gli attoroni che si ricoprono di ridicolo negli spot nostrani facciano aumentare le vendite. Per dire: comprendo che le lunghe gambe di Belen possano essere un valido motivo per non cambiare canale, ma riescono davvero a far cambiare gestore all'utente italiano medio? Probabilmente, sono comunque più efficaci dei sorrisi di Julia Roberts: un'azienda italiana di caffè, nota come quella dello spot qui sotto, ha davvero bisogno di offrire centinaia di migliaia di euro ad un'attrice americana che le faccia da muta testimonial per aumentare le proprie vendite? Quando poi la stessa azienda ha da almeno un decennio tre validi testimonial, che presumo "tirino il prodotto" anche senza dover affermare che gli italiani oltre al caffè sanno fare solo due cose, essere cazzari e fare l'amore. Boh. Ancora, per dire: abbiamo bisogno che Depardieu ci riveli il suo orgoglio italiano e l'amore per la pappa al pomodoro? In che modo aiuta ad incrementare le vendite? E soprattutto: Clooney e Travolta che biascicano parole in italiano, con un tono di voce tombale, che ruolo possono giocare nel mercato italiano della telefonia fissa?







lunedì 17 gennaio 2011

Soluzione "Guess what?!"

Mentre ancora ci chiediamo come sia possibile che il primo post di "Guess what?!"abbia ricevuto 101 visualizzazioni ma solo 13 commenti (di cui 6 nostri), pubblichiamo la risposta all'indovinello fotografico del 15 gennaio! I nostri 5 fedeli commentatori le hanno provate tutte: dalle spugne alle lasagne, dalla neve al panino degli hamburger, fino ai biscotti... la risposta che più si avvicinava alla realtà! Il particolare della scorsa settimana altro non era che parte di una ciambella, come potete vedere nella foto sottostante. L'immagine è stata scattata il 3 gennaio a Piazza Navona. Fra le bancarelle della Befana ce n'era una carica di ciambelle, servite calde con la Nutella. Il prossimo indovinello è: come ha fatto Massimo a resistere alla tentazione di mangiarne una?

(For our English-speaking readers: Still wondering how it is possible that our first "Guess what?!" post was displayed 101 times but commented only 13 times (6 of which were ours), Massimo and I decided to publish the answer to the first photographic riddle posted on January 15! Our 5 faithful followers tried their best: from sponges to lasagne, from snow to hamburger buns and cookies... this last one came really close to reality! Last week's snapshot was part of a DONUT, as you can see below in the picture. The photo was taken on January 3rd in Piazza Navona. Among the stands set up for the Befana, there was one loaded with donuts, served warm with Nutella. Our next riddle is: how could Massimo resist the temptation to eat one?

sabato 15 gennaio 2011

Guess what?!

Introduciamo un nuovo progetto sulla nostra piattaforma digitale! Il nome è "Guess what?!" e l'obiettivo quello di coinvolgervi in un indovinello fotografico. Prendiamo il particolare di una foto, lo estraniamo dal contesto, lo alteriamo e vi chiediamo di indovinare che cos'è. L'indovinello "La foto delle feste" era fin troppo facile, lo ammetto. Ora vediamo cosa sapete fare!
Ecco la prima foto di "Guess what?!". Le risposte alla vostra fantasia!
(For our English-speaking readers: Massimo and I are introducing a new project on our blog! The name is "Guess what?!" and our ojective is that of involving you in a photographic riddle. We take a snapshot of a part of a photo, we cut it from its original context, we alter it and we ask you to guess what it is. The riddle "La foto delle feste" was too easy, my fault! Now, let's see what you can do! Here's the first "Guess what?!" photo. Use your imagination and check how far it can go!)

giovedì 13 gennaio 2011

Il Sondaggio

Il progetto è semplice: raggiungere un minimo di 1.000 partecipanti affiché il sondaggio abbia qualche valore accademico all'interno della mia tesi di laurea. La mia ricerca si concentra sui cambiamenti del giornalismo italiano. La domanda di fondo è: c'è una crisi del giornalismo tradizionale? Il sondaggio, se raggiunge un numero significativo di partecipanti, può in parte rispondere a questa domanda.
Chi di voi compra ancora un quotidiano? Chi di voi legge le notizie online e ha da tempo abbandonato i giornali di carta?

Per partecipare, cliccate sul link che segue e condividetelo con quante più persone conoscete! E' per il bene della ricerca! E, naturalmente, per il mio bene!

Grazie!

mercoledì 12 gennaio 2011

White Peach

I go to the market and walk among the several crowded stands loaded with all kind of fruit and vegetable: watermelons as big as cannon balls, little apricots that look like imaginary stones of an enchanted river flowing in Wonderland, Roman cabbages finely worked and decorated like a baroque pulpit in one of the thousand churches around the city, shiny eggplants whose color is like that of expensive black rubies. It is like a precious exhibition in a museum. I walk directly to “my” stand, where the usual lively young man from Morocco serves his clients happily, touching red, green, yellow apples, black cherries as big as scary eyeballs, long exotic bananas as yellow as daffodil flowers. I make my choice. I grab a pesca bianca, a white peach, and give him a few cents, then I walk away from the crowd and the smell of the market. I sit in the sun on a stony bench next to a little fountain and look at my peach. The color of its skin is of a dirty white mingled with red and light orange, like a sunset sky in June. I turn it within my hands and discover some darker spots where it has been laying close to other peaches on the stand. Here, the pulp is softer and juicier, just like the fruity baby food my mom used to give me when I was little. Its skin is like very thin velvet, not soft but a bit rough under my fingertips. Before giving the first bite, I wash the peach under the water of the little fountain splashing close to my bench. The velvet immediately becomes less shaggy, but the water seems to flow over it without any alteration. The sunset sky gets a bit darker, as if turning to the night. When I bring the peach to my mouth, wet and cold, it feels like a piece of soft ice under my teeth. But it is sweet and delightful. A bite of summer. The smell brings me back to the countryside, where green meadows grow on the hill blossoming with colourful primroses and violets. The skin of the peach produces a light and pleasant crunch under my teeth, giving consistence to the soft and juicy pulp. The countryside’s meadows mingled with the sunset sky taste like one of the best summers I have ever lived.