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venerdì 17 giugno 2011

Tutti in piedi!

Signori, entra il lavoro: tutti in piedi!.
Questo il nome del programma ideato da Maurizio Landini, segretario FIOM, e Michele Santoro. E così il noto conduttore tenta di replicare il successo dell'anno scorso, quando andò in onda Raiperunanotte. Molti i punti in comune: dalla raccolta fondi attraverso Paypal (e ora anche per telefono, con un contributo automatico di €2,50 chiamando il 899 60 60 50), alla diretta streaming attraverso blog volontari. Anche CurrentTv trasmetterà il programma, che sarà inoltre visibile sul sito de ilfattoquotidiano.it .
Tra i blogger che si sono offerti di ospitare il programma, noi.


Un messaggio a tutti i blogger e ai più importanti portali Internet!
Il web è libero, perciò lo streaming non sarà in esclusiva! Il codice per pubblicare lo spettacolo sul vostro sito sarà a disposizione domani durante il pomeriggio e verrà pubblicato sulle pagine web de "Il Fatto Quotidiano" e di "Tutti in piedi".


Cari amici,

questa volta ci diamo un obiettivo ancora più difficile rispetto a quello che raggiungemmo con raiperunanotte. Infatti abbiamo solo pochi giorni per organizzare la nostra trasmissione-manifestazione "Tutti in piedi", alla quale parteciperanno tra gli altri Elisa Anzaldo, Maurizio Crozza, Serena Dandini, Teresa De Sio, Antonio Ingroia, Max Paiella, Daniele Silvestri, i Subsonica, Marco Travaglio, Vauro e tanti altri. Se ancora una volta raggiungeremo il nostro obbiettivo dimostreremo che per quanto cerchino di ridurre gli spazi di libertà niente potrà più impedirci di manifestare il nostro pensiero,niente potrà fermare il ritorno in scena del lavoro con la sua richiesta di dignità e di libertà. Vi chiedo perciò di contribuire ancora una volta con due euro e cinquanta ciascuno facendo girare dovunque questo appello e coinvolgendo i vostri amici. Insieme abbiamo la forza per cambiare tutto.

Grazie.

Michele Santoro


Qui tutti i video della serata.



sabato 7 maggio 2011

Internet, la lettura e la creazione

di Federica Agnese

Oggi è venerdì 6 maggio, sono le 20 e qualche minuto, e si sta per concludere quella che è stata una lunga, ma ricca, giornata. Ho affrontato con coraggio le difficoltà di una città soggetta a sciopero generale dei mezzi di trasporto e a deviazioni stradali per sgomberare la zona dell'Ambasciata Americana che ospita la Signora Clinton e sono arrivata puntuale in Via Ulisse Aldrovandi 16. Questa mattina, infatti, è stato presentato un Forum della letteratura Sino-Italiana presso l'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, uno dei tanti progetti organizzati in occasione dell'Anno Culturale della Cina in Italia (意大利 “中国文化年).
Come ogni convegno che si rispetti, a pochi minuti dall'inizio, proprio quando la ressa di gente aumenta, c’è stato un accavallarsi di procedure pratiche da sbrigare rapidamente che mi hanno vista volontaria nel gestire lo stand d'entrata per la distribuzione di riviste, programma dell'incontro, audiocuffie per la traduzione e via dicendo.
Questi pochi minuti non hanno compromesso affatto la mia piena partecipazione, ne è testimonianza il fatto che, nonostante il ritardo, io abbia trovato un posto dove sedermi, e non è cosa scontata in queste occasioni! Il Forum ha visto l'avvicendarsi di 6 scrittori cinesi e 6 italiani che hanno affrontato vari temi inerenti ad entrambe le letterature, ma tra gli interventi a cui ho assistito oggi, uno in particolare ha rapito la mia attenzione. La discussione portava il titolo di “Internet, la lettura e la creazione”, e ad esaminare il tema è stato il poeta, narratore, drammaturgo e regista teatrale Marco Palladini. Molte sono le sue pubblicazioni, e molte altre le sue attività, ma tengo a dire soprattutto che egli è direttore della rivista on-line del Sindacato Nazionale Scrittori, e che è autore di ben 3 e-book.
L'inizio del dibattito è nato in risposta all'interrogativo: come abitare la rete? Ovvero, come sfruttare le potenzialità che il web ci offre per divulgare la cultura, e la letteratura,in questo caso specifico. Egli cita il linguaggio verbale come già tecnologia in sé. In effetti, da un punto di vista semantico, è una parola composta che deriva dal termine greco τεχνολογια, cioè “discorso sull'arte”, e che designa una tecnica, un'abilità. Detto ciò, essa può benissimo essere concepita come tecnica della comunicazione stessa, perchè no? Poi, si è passati a parlare dell' e-book. Egli, riporto testualmente le parole, ha definito l'e-book come un “processo di mutamento del libro, dove non muta né la forma né l'idea del libro, solo il supporto”. Mmm. No, io non credo. Non voglio fare la romantica e discorrere su quanto è buono il sapore di una pagina quando la si sfoglia con il dito portato alla bocca, o anche solo il gesto o il rumore che fa la pagina durante questa azione. Non voglio farla, ma credo di esserlo. Non è un mutamento, sempre a parer mio, è una sostituzione bella e buona. Qui è in gioco il destino dello scrittore contemporaneo. Perchè adattare il messaggio che vogliamo comunicare al mezzo attraverso cui farlo comporta un lavoro attento e specifico sulla lingua che usiamo, e già qui perdiamo qualcosa, mi viene da pensare alla naturalezza, chissà. Ma poi, vogliamo veramente mettere a paragone la luce naturale che ci illumina la pagina, con quella artificiale e smorta di un iPhone/iPad o altra tecnologia che sia? Per favore. Una previsione molto interessante fu quella annunciata da William Gibson, il più celebre autore della corrente letteraria del Cyberpunk, che guardò a questo futuro dichiarando che “gli spazi di libertà saranno riservati a pochi eroi”.
Io questa libertà la collego al rischio di rimanere vittime passive di questo sistema, dove i libri ci vengono proposti, non siamo noi a scoprirli in remoti angoli di librerie o seguendo un genere o un autore che dalla prima lettura ci ha convinto.
Seguendo la traccia dello stesso titolo, l'intervento del relatore cinese, il grande (grandissimo, io direi) scrittore cinese Su Tong (苏童) ha raccontato l'episodio in cui ha scoperto le possibilità che offre internet. Da quando comprò una casa con il giardino, decise di occuparsene. Era pieno di fiori che davano colore, ma sentiva che mancava qualcosa. Una giara. Scoprì che voleva una giara, e iniziò una lunga ricerca per negozi e mercati, una ricerca che non portò frutti. All'umanità non servivano più giare, ma, perchè stupirsi, sul web c'erano tante, non poche, persone che le vendevano. “Se c'è chi compra, di sicuro c'è chi vende”, ha concluso il racconto Su Tong. Certo, la creazione che ha luogo nel web è sempre un prodotto dell'uomo e del suo operare, e come disse lo scrittore e giornalista italiano Ennio Flaiano “l'uomo è un animale pensante, e quando pensa non può che essere in alto”, ed il risultato è quello di una società migliore. Ogni tecnologia ha diritto di svilupparsi e migliorare, anche l'e-book, ma mi piacerebbe lo facesse affiancandosi al libro, non rimpiazzandolo. Penso a queste cose e non cerco una risposta, ma la domanda giusta che stimoli il mio interesse verso questa novità.

lunedì 28 marzo 2011

Google aiuta le no profit statunitensi


È il blog italiano Ninja marketing a riportare la notizia: l'azienda statunitense ha sviluppato un programma che fornisce numerosi servizi alle associazioni senza scopo di lucro. Dagli spazi pubblicitari, a nuove funzioni su youtube e Google maps, fino alla consulenza di providers professionali per ottimizzare l'uso di queste tecnologie. Il tentativo è di mettere in contatto tra loro le varie no profit, creando una vera e propria rete di volontariato che sia di concreto aiuto a chi si impegna per produrre cambiamenti positivi nel mondo.
La possibilità che tools e programmi Google possano essere impiegati per il fundraising e la pubblicizzazione della propria attività non è certo cosa nuova.
L’esperienza della grande azienda statunitense dimostra come le tecnologie possano essere impiegate da qualsiasi tipo di società e associazione per aprirsi al mondo, sponsorizzare eventi ed iniziative, coinvolgere utenti ed internauti ovunque essi si trovino. 

È vero anche che Google ha investito molto per sviluppare nuovi strumenti di marketing che siano facilmente utilizzabili da chiunque: dal programmatore di una grande azienda, al blogger amatoriale. L’ultima invenzione del gigante statunitense è una mano tesa verso le no profit USA-based: il programma Google for Nonprofits intende migliorare i servizi precedentemente offerti attraverso un’unica piattaforma, che possa raggiungere più donatori e rendere più visibile l’impegno delle varie organizzazioni.
Il programma offre la possibilità di iscriversi al one-stop shop application process, al quale le associazioni devono iscriversi per ottenere il riconoscimento del loro status. Una volta ottenuto, accederanno ad una serie di benefici:
  • fino a diecimila dollari al mese di pubblicità su Google AdWords per raggiungere più donatori;
  • applicazioni Google gratuite o scontate per operare più efficientemente e abbattere i costi di internet e tecnologie;
  • funzioni aggiuntive per Youtube e Google maps che rendano più visibile l’associazione e la sua finalità;
  • video e case studies per connettere tra loro le varie no profit.
Affinché questi nuovi strumenti possano essere utilizzati al meglio poi, viene messa a disposizione delle associazioni la consulenza di professional service providers, che illustrino potenzialità e funzioni del nuovo programma: si sono già fatte avanti aziende di tutto il mondo (come USA, Canada, Italia, Russia, Gran Bretagna, Israele, Filippine).
Il grande impegno di Google per supportare questo settore è motivato dal prezioso ruolo sociale che l'azienda statunitense riconosce alle no profit, capaci di portare continui cambiamenti positivi a livello mondiale.

mercoledì 9 febbraio 2011

Giornalismo 3.0

da www.labsus.org | Alessandra Potenza


Con l'avvento del terremoto-internet, alla crisi del giornalismo tradizionale si è accompagnato l'affermarsi di un nuovo modo di fare informazione, che vede protagonisti i comuni cittadini quali produttori di notizie.
Se c'è qualcosa che internet ci ha insegnato è che tutti hanno qualcosa da dire
Si parla spesso di crisi del giornalismo, calo di vendite dei quotidiani, pre-pensionamento dei giornalisti, testate sull’orlo della bancarotta. E tutto per colpa di Internet. Le notizie gratuite online sottraggono lettori ai quotidiani di carta e i siti web più popolari rubano la pubblicità, da sempre fonte di sostentamento dei media.

Giornalismo e partecipazione

Ma non tutto il male vien per nuocere. Se da una parte Internet e le nuove tecnologie mettono in crisi il giornalismo tradizionale, dall’altra esse aprono nuove opportunità di partecipazione ai comuni cittadini. I lettori non sono più solo consumatori di notizie, ma produttori di informazione. In una parola: prosumers. Un’aplologia delle parole producer e consumer che indica al meglio l’essenza dei nuovi cittadini nell’era del Web 2.0. Se c’è una cosa che Internet ci ha insegnato è che tutti hanno qualcosa da dire. Un’opinione, un commento, un’analisi, un pensiero, uno studio approfondito che rispecchia la ricerca di una vita. Le nuove tecnologie permettono ai cittadini di comunicare il proprio sapere gratuitamente, nel modo più creativo e innovativo che si possa pensare. Dagli articoli scritti sui milioni di blog che popolano l’oceano del web, alle fotografie condivise su Flickr. Dai video-inchiesta pubblicati su YouReporter.it, alle voci dell’enciclopedia comune Wikipedia.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, Internet ha permesso di sottrarre il monopolio dell’informazione dalla cerchia ristretta di giornalisti che da sempre l’hanno prodotta, controllata, canalizzata. E, in Italia, dove la potenza dei gruppi editoriali e il duopolio Rai-Mediaset della tv hanno sempre precluso il vero pluralismo dell’informazione, tutto ciò rappresenta una rivoluzione senza precedenti. La libertà di espressione, precondizione della sussidiarietà, può così prosperare.
Il citizen journalism, il giornalismo partecipativo che parte dal basso, permette alla gente comune di trasformarsi in reporter, di condurre inchieste e di denunciare le ingiustizie a livello locale. Negli ultimi anni, i media tradizionali hanno compreso il valore di questi contributi e sono nati programmi come Citizen Report di Giovanni Minoli su Rai 3, siti web partecipativi come Fai Notizia di radio Radicale e iniziative come quelle del National Geographic per invogliare i lettori a inviare le foto-degrado dei siti archeologici italiani.
Certo, il citizen journalism incoraggiato dall’espansione di Internet non sostituirà mai il giornalismo d’inchiesta delle grandi testate e dei professionisti, ma è una risorsa, ancora sottovalutata, che finirà per incrementare il livello di attivismo sociale dei cittadini e il loro coinvolgimento nella costruzione di una società più giusta. Il volto nuovo di una nobile professione iniziata secoli fa.

Una ricerca e un sondaggio

In questo scenario, Internet rappresenta una risorsa e una minaccia al tempo stesso, se non verrà utilizzato nel modo giusto. In tutto il mondo il giornalismo sta cambiando. E questa rivoluzione, più veloce di quanto si immagini, riguarda tutti, non solo i professionisti del settore, che vedono diminuire gli introiti, ma anche i cittadini, che rischiano di ritrovarsi senza un giornalismo di qualità che tiene d’occhio il potere. In che misura il web sta cambiando le abitudini di lettura e vendita dei quotidiani? I giornali di carta stanno perdendo il loro ruolo socio-culturale? Mentre negli Stati Uniti e nel resto d’Europa questi argomenti sono ampiamente discussi, in Italia sono relativamente poche le ricerche in questo campo. Cliccando su questo link (http://160caratteriperdirlo.blogspot.com/2011/01/httppolldaddy.html) è possibile partecipare ad un sondaggio, il cui obiettivo ultimo è quello di fornire un quadro più dettagliato della situazione appena esposta, capace di descrivere al meglio alcuni aspetti rilevanti di questo periodo di transizione e profondo cambiamento che sta interessando sempre più il mondo del giornalismo in generale.

giovedì 16 dicembre 2010

Il potere di Wikileaks

Ultima puntata del racconto di Pierluigi... per visualizzarli tutti in ordine cronologico cliccate sulla tag "computer"! Buona lettura!

Wikileaks è tutt'ora considerato da molti come una sorta di paladino della libertà, come un esempio della rete partecipativa che smaschera le malefatte di governi e multinazionali. Secondo me, quello di chi crede a queste idee è semplicemente un grosso abbaglio. Wikileaks, come gli ISP sui quali le informazioni transitano (e vengono copiate...) ha tutte le carte in regola per diventare una concentrazione di potere: ho sentito molti commenti sui documenti pubblicati da questo sito, ma nessuno sul fatto che chi dispone di queste banche possiede, potenzialmente, una capacità di influenza senza precedenti. Mr. Assange, è il creatore e “editor-in-chief”, come lui si definisce, di Wikileaks. E' un personaggio di straordinaria intelligenza e con una creatività assolutamente originale; sembra un giornalista di rara abnegazione e probabilmente la sua onestà è cristallina come appare. Tuttavia, non voglio istillare il dubbio, né parlare della sostanziosa polemica che sta lievitando in questi giorni. Il mio ragionamento coinvolge questo caso specifico, ma, come dicevo, non riguarda tanto il merito di che cosa viene acquisito in queste banche dati, ma il come questi dati vengono raccolti, concentrati e poi diffusi.
Ci si può fidare ciecamente solo della nobile disposizione d'animo del detentore di queste informazioni se, forse non Assange, eviterà di utilizzare questa banca dati a scopo di ricatto? O di estorsione? Siamo del tutto sicuri che i tutti i dati pubblicati coincidono esattamente con quelli ricevuti? Non potrebbe essere che magari c'è anche qualcos'altro? Magari dopo aver fatto intendere a chi ha orecchie per intendere che questo qualcos'altro potrebbe essere pubblicato in futuro?
Chi possiede la banca dati, possiede questo potere. E i dati di Assange, come quelli degli ISP, non si ha modo di sapere dove si trovino fisicamente, e addirittura possono benissimo essere divisi e copiati su un numero sterminato di computer sparsi per tutto il mondo; magari un pezzettino di quei dati è transitato anche sul mio computer, o su quello di chi sta leggendo questo appunto. Non si tratta di fantascienza, un computer collegato alla rete, e tutti sono ormai collegati, è un nodo della rete dotato di capacità di memorizzazione e di comunicazione. Può essere controllato a distanza e a completa insaputa dell'utente, la riservatezza è garantita solo dalla serietà (sempre dichiarata, mai verificabile) dell'ISP... Ma gli ISP principali sanno perfettamente di cominciare a possedere una banca dati sterminata, che tutto contiene, tutto elabora, tutto sa. La Banca Dati Mondiale. Sanno perfettamente di avere ormai la potenzialità per diventare qualcosa di non tanto diverso dal Grande Fratello di Orwell. Sanno perfettamente di cominciare a possedere il mondo.

lunedì 13 dicembre 2010

Il nuovo Grande Fratello

Pubblichiamo la quarta puntata del racconto di PJ! Buona lettura!

Oggi non esiste più una sola informazione importante o banale, dal prezzo di un prodotto ai dati anagrafici di una persona, dall'orario di un treno ai dati statistici di un'azienda, da una ripresa da satellite a una telefonata fatta all'amante, da una cartella clinica ai dati di un conto corrente bancario, che non risieda in una banca dati ospitata su un computer, e non esiste più un solo computer che non sia collegato, o collegabile, a Internet. Tutte queste informazioni, dunque, sono presenti in un modo o nell'altro nella rete mondiale, e sono integrabili fra loro. La segretezza e riservatezza, l'impedimento all'accesso abusivo, sono affidati a tecniche sempre più sofisticate, come sempre più sofisticate sono le tecniche adottate da coloro che di questi dati si vogliono impadronire. Come nella eterna sfida fra il cannone e la corazza.
La nuova rivoluzione, il cosiddetto Web 2.0, vedrà l'archiviazione di qualsiasi dato solamente attraverso Internet, nella banca dati del proprio ISP (Internet Service Provider), senza nemmeno più la necessità di archiviarlo sul proprio computer, senza nemmeno la necessità di avere installato il programma necessario a generarlo. Anche il mio zibaldone potrei scriverlo e archiviarlo utilizzando, per esempio, Google Documents, il bellissimo word processor di Google, che fornisce da Internet tutte le funzioni utili per la scrittura e mette a disposizione sul loro server tutto lo spazio di archiviazione necessario. In questo modo non si ha bisogno di portarsi dietro i documenti e se vogliamo neanche il computer, poiché si può accedere alle proprie cose da qualsiasi computer in qualsiasi parte del mondo, avendo a disposizione sempre lo stesso programma. Potrei scrivere lo zibaldone così, ma non lo faccio. Sono sicuro che a qualcuno che gestisce il loro server, che non si ha modo di sapere dove si trovi, non venga in mente di dare un'occhiata? Sono sicuro che qualche abile hacker non si appropri del loro rinomato “cloud” di dati a scopo di estorsione? Del mio zibaldone, certo, non fregherebbe niente a nessuno, ma i gestori di grandi quantità di dati (dati di ogni tipo, dati sensibili e non) già ora si servono del Web 2.0, perchè in questo modo i costi di archiviazione e di gestione delle banche dati sono enormemente inferiori.
Sembrano passati secoli da quando avevo comprato l'antidiluviano Amstrad. Secoli durante i quali si è passati dalla interconnessione fra un centinaio di appassionati ad una rete mondiale che ha cambiato l'economia, la politica, la vita. Nessuno l'aveva previsto, almeno in questi termini e con questa dimensione, infatti Internet non ha un vero inventore, e il suo sviluppo ha seguito semplicemente quello delle macchine che lo rendono possibile; ad ogni evoluzione tecnologica del computer gli esperti, ma anche i semplici utenti, si sono ritrovati fra le mani delle potenzialità insospettate che hanno poi generato le nuove idee e le nuove applicazioni. E' così che sono nati il commercio elettronico, i social network, i motori di ricerca. Ed ora stiamo assistendo ad una ulteriore evoluzione, nella quale addirittura i computer, il software, le banche dati e la rete sfumano uno nell'altro e cominciano a farsi indistinguibili; ormai anche molti oggetti di uso comune, che sembrerebbero estranei alla alimentazione delle banche dati, contribuiscono a fornire preziose informazioni agli ISP: non solo i nuovi smartphone, che forniscono continuamente informazioni su dove ti trovi, su quali sono i tuoi interlocutori e i tuoi gusti, su cosa stai facendo; anche le biglietterie elettroniche per ogni tipo di trasporto pubblico; anche il Telepass per le autostrade; anche la miriade di telecamere di sicurezza; anche i banali controlli di accesso a qualsiasi ufficio, perfino i contatori elettronici dell'energia elettrica. L'elenco sarebbe lunghissimo, e nessuno ormai può pensare di poter sfuggire ad almeno qualcuna di queste applicazioni, in sé assai attraenti e utili, spesso perfino indispensabili. Ma sono anche esempi di come le banche dati si stanno enormemente dilatando, ed hanno cominciato ad includere praticamente la totalità delle informazioni in qualsiasi modo classificabili, su tutto e su tutti.

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mercoledì 8 dicembre 2010

La banca dati

Ecco la terza puntata del racconto di PJ! Buona lettura!

Invece di fare un intelligente affare, cominciai da subito a ragionare sul significato epocale e filosofico di queste novità, che mi sembravano una vera rivoluzione della quale era abbastanza difficile scorgere il confine. Data la mia scarsa attitudine alla materia, supportata anche dall'aridità culturale che scorgevo nei tecnici e ingegneri informatici di allora, mi sembrava che i computer fossero certamente utili, ma mai insostituibili, almeno nel mio campo: era ancora più semplice e rapido realizzare un buona cartografia con dei validi disegnatori che con l'ausilio del computer, inoltre le carte disegnate col plotter facevano veramente schifo. Ma poi mi accorsi che a quelle squallide carte potevano essere associati dei dati, enormi quantità di dati, e il tutto poteva essere contenuto su un singolo nastro magnetico. Inoltre, questi dati associati alla mappa potevano essere consultati e ricercati nei modi più disparati, come mai si sarebbe potuto fare su carta, a meno di costruire immani indici analitici. Questo sì. Questo lo vedevo come una caratteristica unica e insostituibile della trattazione digitale dell'informazione. La banca dati, l'archivio perfetto, che non occupa spazio, che permette di ricercare quello che serve senza bisogno di fornire numeri di repertorio, che combina le informazioni in tutti i modi desiderati, che è in grado di trovare da solo uguaglianze, somiglianze, incongruenze, che aiuta a scoprire relazioni fra i dati. Che fa tutto questo in modo praticamente istantaneo. Nessun archivio cartaceo potrebbe fornire queste prestazioni, dunque mi ero accorto che la banca dati costituiva un concetto nuovo, possibile solo ed esclusivamente con l'utilizzo del computer.
E poi comparve quest'altra rivoluzione: la facilità di comunicazione. I computer potevano essere connessi in una rete grande come tutto il pianeta. Tutte le banche dati del mondo, residenti su computer connessi come le maglie di una rete da pesca, o come i neuroni di un cervello, potevano essere consultate da uno qualunque di questi computer, il quale a sua volta metteva a disposizione la propria banca dati. Era Internet, la rete internazionale. Era un altro concetto nuovo, anche questo possibile solo grazie all'utilizzo del computer.
Certo non potevo ancora immaginare come e quanto Internet si sarebbe diffuso, quali e quante informazioni avrebbe contenuto, quanto si sarebbe integrato nelle telecomunicazioni, fino a far scomparire il concetto stesso di comunicazione telefonica classica, di televisione, di servizio postale.
Ma soprattutto, non avevo immaginato fino a quale punto Internet avrebbe fuso insieme tutte le banche dati esistenti e proliferanti nel mondo. Non avevo immaginato che sarebbero stati inventati i motori di ricerca, vere banche dati delle banche dati, capaci di trovare all'istante qualsiasi informazione, ovunque nel mondo, purchè disponibile in rete.

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domenica 5 dicembre 2010

La prima connessione a Internet

Pubblichiamo la seconda parte delle riflessioni di PJ! Buona lettura!


E qui ecco di nuovo il mio antidiluviano Amstrad. Era dunque uno strumento molto velleitario, quanto a possibilità di utilizzo, però conteneva disperso nei suoi circuiti, un oggetto misterioso di nome modem, che inizialmente non avevo nemmeno notato, dato che le istruzioni non lo nominavano. Ricordo solo che notai una piccola presa su un lato del computer accanto alla quale era incisa questa parola misteriosa “MODEM”. Non che fossi particolarmente interessato a scoprire di cosa si trattasse, dato che allora il computer non si usava mai per comunicare, e non mi era certo venuto in mente che quella piccola presa avrebbe significato una rivoluzione epocale nella diffusione e moltiplicazione dello scibile umano. Tuttavia un giorno notai in un'edicola un manuale con un titolo che mi incuriosì “Guida ai segreti del modem”, e ovviamente lo comprai, io ero uno dei pochi possessori di questo strano apparato. Il libro era scritto talmente male che per le prime dieci pagine nemmeno si capiva a cosa il modem potesse servire (secondo la classica, autistica, patologia mentale degli informatici che danno sempre per scontato che chiunque capisca al volo il loro gergo e le loro sigle e i loro acronimi). Dopo cominciava la criptica descrizione dei comandi necessari a farlo funzionare dopo averlo attaccato a una linea telefonica. Comandi da impartire a mano, secondo rigide sequenze, prestando ascolto e interpretando correttamente i fischi e le pernacchie che la perversa macchinetta emetteva. Comunque, in fondo al libro comparve finalmente l'unica indicazione veramente utile, che spiegava chi chiamare con questo modem. C'era una breve lista di numeri di telefono, dei quali ben cinque in America, tre in Gran Bretagna e uno solo in Italia. Si trattava del numero della rivista di informatica MCLink. Composi dunque laboriosamente questo numero e finalmente ottenni risposta, dall'altoparlante del computer si sentì dire “Pronto?”... Forse non si trattava di un modem che rispondeva dall'altra parte, ma non ne ero completamente sicuro, tanto che cominciai a dare alcuni altri comandi descritti dal manuale, finchè dall'altra parte del filo non mi giunse questa preziosa indicazione “guardi, il modem ora è staccato, provi a chiamarmi a questo numero col telefono”. Questo fu il mio primo collegamento, ma altri poi ne seguirono ed ebbero successo. Era entusiasmante, sembrava di essere dei radioamatori e scoprii che la comunità italiana degli utilizzatori di modem contava ben un centinaio di persone. L'attività principale era una chat primordiale, e quello che trovavo più stupefacente era che riuscivo a comunicare anche con gli altri pionieri che si trovavano a Milano senza dover pagare l'interurbana. Mi fu assegnato l'anno successivo un indirizzo sperimentale di posta elettronica, e mi spiegarono il concetto di questa nuova forma di comunicazione, concetto che non afferrai subito (mi sembrava impossibile che si potesse ricevere un messaggio senza essere connessi nel momento nel quale esso veniva spedito). MCLink, allora una cooperativa di entusiasti, mi propose anche di cominciare a lavorare con loro su queste novità, ed io, con il fiuto per gli affari che mi contraddistingue, naturalmente declinai l'offerta... Ero comunque stato uno dei primi in Italia ad avere un indirizzo di posta elettronica, e poi ad accedere ad Internet.

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giovedì 2 dicembre 2010

Correva l'anno 1988

Pubblichiamo uno scritto "a puntate" di mio zio Pierluigi, sotenitore del blog e divertente scrittore. Un'analisi sull'importanza dei computer e il potere della rete. Uno scritto che ha tanto da insegnare e propone interessanti spunti di riflessione.
Buona lettura e un grazie a PJ!

Un bel po' di tempo fa, era il 1988, comperai il mio primo computer. Era un Amstrad, un laptop ante-litteram, che aveva la presunzione di poter funzionare a batteria e di essere portatile (era quello della foto qui accanto). In realtà, era un oggetto bislungo, ingombrante e pesantissimo, dotato di uno schermo minuscolo a cristalli liquidi, in bianco e nero e di difficile lettura. La batteria era costituita da dieci pile torcia, che si esaurivano dopo nemmeno un'ora e talvolta non avevano abbastanza potenza, neanche da nuove, per far partire il disco fisso. Tuttavia, i personal computer da tavolo erano già in uso e cominciavano a farsi strada nel lavoro degli uffici; certo, per applicazioni appena più complicate che la semplice scrittura o il calcolo con un foglio elettronico elementare, bisognava ricorrere ai cosiddetti mini-computer, che erano definiti “mini” perchè invece di occupare un intero salone di 200 metri quadrati, abbisognavano soltanto di una normale stanza. In ufficio, per le nostre nascenti applicazioni sui GIS, ne avevamo uno della Digital Equipment, che per l'epoca era considerato potentissimo. Centinaia di metri di cavi erano stati stesi per tutto l'ufficio al fine di collegarlo a una decina di videoterminali sui quali gli informatici sviluppavano le prime applicazioni cartografiche, che poi venivano rappresentate su un unico terminale grafico (ovviamente in bianco e nero) oppure inviate al mastodontico plotter elettromeccanico, che era accudito da un tecnico in camice bianco. Comunque si trattava di cose all'avanguardia per l'epoca, che fecero della ora defunta Italeco un numero uno del settore. Era questo il contesto nel quale lavoravo, dunque i computer cominciarono ad interessarmi. Si trattava di un interesse un po' forzato, per la verità, poiché un umanista come me incontrava non indifferenti difficoltà ad applicare la logica matematica necessaria a farli funzionare, e soprattutto trovavo sproporzionato il rapporto fra il lavoro di programmazione e i risultati che si ottenevano.
Comunque, con i personal computer inventati da Bill Gates, le cose cominciavano a cambiare, e il genio di quell'uomo consistette per l'appunto nel capire che il computer poteva diventare uno strumento alla portata anche dei non addetti ai lavori. Delle potenzialità che si sarebbero poi dischiuse, tuttavia, nemmeno lui aveva avuto l'intuizione: non immaginava che i suoi computer presto avrebbero perso la caratteristica di essere personali, e si sarebbero trasformati in strumenti di comunicazione capaci di consentire a tutti l'accesso e la condivisione di informazioni distribuite in tutto il mondo

Continua...