lunedì 28 febbraio 2011

Clima in comune 2011

da www.labsus.org  | Massimo Ferraro

Legambiente ha presentato il 18 febbraio scorso, in occasione dell’iniziativa “M’illumino di meno 2011”, il rapporto Clima in comune 2011, una fotografia delle “buone pratiche in campo energetico attuate dalle amministrazioni comunali”. Lo studio è stato presentato a Genova, la prima città insieme a Torino, Avigliana e Maranello, a vedersi approvato il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile dalla Commissione Europea. Il rapporto di Legambiente intende monitorare successi e insuccessi dell’iniziativa europea, fotografando la situazione italiana.

Il 29 gennaio 2008, in occasione della seconda edizione della Settimana europea dell’energia rinnovabile, la Commissione ha lanciato il “Patto dei sindaci” (Covenant of mayors), un’iniziativa che impegna i sindaci dei comuni aderenti, su base volontaria, ad adottare misure efficaci nella lotta alle emissioni dei gas serra (-20%), all’aumento del ricorso ad energie rinnovabili (+20%), a migliorare l’efficienza energetica (+20%). Rispetto alle precedenti iniziative, quest’ultima può giovarsi degli effetti della crisi, che hanno indotto gli amministratori locali (più di quelli nazionali) a ripensare i propri investimenti, a riconsiderare i benefici della raccolta differenziata e del riciclo, senza poter prescindere dalla partecipazione dei cittadini e dell’associazionismo civico. Tra le altre cose, la Covenant impegna i sindaci firmatari a:
  • superare gli obiettivi fissati dall’Ue per il 2020, riducendo le emissioni di CO2 di oltre il 20%;
  • predisporre un Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) che indichi le misure tese a raggiungere gli obiettivi;
  • ratificare il PAES entro un anno dalla firma del Patto, con una delibera del consiglio comunale, che poi deve essere vagliato dai tecnici della Commissione;
  • mobilitare e coinvolgere la società civile, organizzare eventi a tema e dotarsi di adeguate risorse umane per i fini del PAES;
  • presentare un Rapporto biennale sull’attuazione del Piano;
  • accettare l’eventuale esclusione dal Patto (per mancata presentazione del PAES, mancato raggiungimento degli obiettivi, mancata presentazione del Rapporto biennale per due periodi consecutivi).
Il rapporto di Legambiente (in allegato qui accanto) intende monitorare successi e insuccessi dell’iniziativa europea, fotografando la situazione italiana per individuare lacune, opportunità, priorità delle amministrazioni che partecipano.

La situazione italiana

Al progetto hanno aderito circa 2100 comuni in tutta Europa, oltre 600 in Italia. Per quanto riguarda quelli italiani però, all’iniziale adesione non è seguita la delibera comunale, causando l’espulsione di ben 160 comuni dal Patto, tra i quali illustre capofila è Milano, tra i primi firmatari nel gennaio del 2008. Dei 597 comuni con adesione in regola, circa la metà sono in ritardo con la presentazione del PAES. Tra questi Roma, che ha un ritardo superiore ai sei mesi e rischia un richiamo, come altri 24 comuni per i quali la Commissione ha deciso la sospensione temporanea. Un’altra anomalia tutta italiana sta nelle risorse e nel coordinamento, affidati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nell’ambito della Campagna SEE, già scarsamente dotata di personale e fondi. Nonostante quindi a livello nazionale non vi sia ancora una strategia unitaria ed efficace per l’ambiente e l’ecosostenibilità, molti sindaci hanno compreso le potenzialità della green economy, in termini occupazionali, finanziari, e perché no, anche di salute. Ecco quindi che i Piani, adottati dal consiglio comunale e approvati dalla Commissione, di Genova, Torino, Avigliana (Torino), Maranello (Modena), sono il primo passo delle amministrazioni locali verso una nuova politica energetica che parta dal basso.

I quattro PAES hanno in comune misure d’intervento sugli edifici e sui trasporti pubblici, sulla flotta di veicoli comunali e sull’illuminazione stradale, così che le strutture e i servizi pubblici siano i primi a dare il buon esempio, a tracciare la strada che dovranno necessariamente percorrere anche privati e cittadini. Essenziale è infatti l’educazione e la consapevolezza degli individui, che devono essere forniti degli strumenti necessari per ripensare i propri stili di vita, non inficiandone il tenore, ma riducendo gli sprechi e valorizzando le scelte. La Covenant parla esplicitamente di “formazione di personale” che sappia educare alla cittadinanza sostenibile, al rispetto dell’ambiente, alla riduzione dell’inquinamento, anche mediante spazi di dialogo e di ascolto che valorizzino il ruolo attivo dei cittadini nella definizione delle scelte di governance. La nuova democrazia passa per il principio di sussidiarietà, con l’avvicinamento delle amministrazioni locali ai propri cittadini per rispondere tempestivamente ed in maniera adeguata e competente alle richieste, ai dubbi, alle esigenze della comunità.

venerdì 25 febbraio 2011

La Cina finanzia l’alternativa al canale di Panama

Pubblico il mio primo articolo pubblicato su Limes, rivista italiana di geopolitica. Non perché abbia nulla a che fare con quello che solitamente scriviamo sul blog io e Massimo, ma perché mi è costato lavoro, tempo, la mia lezione di francese del lunedì pomeriggio e un mal di testa sconfitto con un moment act!
Cliccate qui per leggere l'articolo sul sito originale di Limes e per lasciare eventuali commenti... così mi fate fare bella figura!

BUONA LETTURA!


In un’intervista
al Financial Times, il presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha confermato la veridicità di un progetto di cui si parlava da tempo.

La costruzione in suolo colombiano di una linea ferroviaria che collegherebbe la costa pacifica e quella atlantica, aggirando il famoso canale di Panama. La proposta, definita «reale» e «in uno stato abbastanza avanzato» da Santos, è di matrice cinese.

Il progetto di
Pechino, stimato intorno ai 7,6 miliardi di dollari, prevede la costruzione del cosiddetto «dry canal», una linea ferroviaria lunga 212 chilometri che collegherebbe il Pacifico a una città ancora tutta da costruire a sud di Cartagena, sull’Atlantico.


Il nuovo centro
servirebbe alla potenza asiatica per assemblare i prodotti made in China da esportare in tutta l’America. Il «canale asciutto» aggirerebbe, in questo modo, l’ormai vetusto canale di Panama.


Concluso nel 1914
dagli Stati Uniti, lo storico canale è infatti ora coinvolto in massicci lavori di ampliamento per permettere il passaggio di mercantili di dimensioni sempre più grandi.


I lavori appena
iniziati, anche quelli finanziat
i in gran parte dai capitali cinesi, termineranno entro il 2014 e permetteranno il passaggio di 18-20mila navi l’anno, contro le 14-15mila attuali.

La nuova opera
ferroviaria permetterebbe a Pechino, divenuto il secondo partner commerciale della Colombia dopo gli Stati Uniti, di aprirsi uno sbocco sull’Atlantico e di incrementare i rapporti commerciali colombiani con l’Asia.


Come ricorda
il Financial Times, i commerci bilaterali sino-colombiani sono passati dai 10 milioni di dollari nel 1980 agli oltre 5 miliardi nel 2010. È quindi logico che Pechino cerchi di rafforzare la propria posizione nel continente sudamericano.


L’«invasione» cinese,
come la definisce Federico Rampini, è un’occasione per la Cina di ricordare agli Stati Uniti, che in America latina sono sempre stati i favorit
i, chi ha il coltello dalla parte del manico.

La linea ferroviaria
non rappresenterebbe solo una corsia preferenziale per importare nel subcontinente i prodotti cinesi, ma servirebbe anche per esportare nella potenza asiatica il carbone colombiano.


Da parte sua,
il presidente Santos si è detto «molto interessato» a migliorare le infrastrutture del paese e nel promuovere accordi di libero scambio co
n l’Asia, in quanto «nuovo motore della crescita dell’economia mondiale».

La conferma ufficiale
del progetto non può che servire da monito a Washington. L’accordo di libero scambio fra la Colombia e gli Stati Uniti, firmato nel novembre del 2006 sotto la presidenza Bush, prevede l'eliminazione di dazi e di altre barriere non tariffarie. Ma non è ancora stato ratificato dal Congresso Usa.


Che il progetto
del «canale asciutto» annunciato da Santos
sia solo una strategia per fare pressioni sull’amministrazione Obama? Il presidente colombiano raggira la domanda posta dal Financial Times e cita altri accordi commerciali con il Venezuela, l’Ecuador e il Messico.

L’ambasciatore cinese
in Colombia, Gao Zhengyue, ha dichiarato apertamente che il paese sudamericano ha «una posizione strategica molto importante», da utilizzare come punto d’accesso a tutta l’American Latina.


Se l’alternativa
allo storico canale di Panama sarà realizzata grazie ai fondi forniti dalla Chinese development bank, gli Stati Uniti si vedranno sottrarre un'ulteriore fetta di influenza in un'area in cui la facevano da padroni dal Diciannovesimo secolo.


Forse Obama,
che nel suo discorso sullo stato dell’Unione di gennaio ha dichiarato di voler visitare Brasile, Cile e El Salvador «per forgiare nuove alleanze nelle Americhe», deciderà di recarsi anche a Bogotà, per dimostrare di non essersi dimenticato del suo storico alleato.

(24/02/2011)

















(La linea nera indica quello che secondo il Financial Times dovrebbe essere il percorso della nuova tratta ferroviaria, il «dry canal». Lunghezza 212 km. Le attuali infrastrutture ferroviarie che collegano il Pacifico al mar dei Caraibi, passando per Bogotà e terminando vicino a Cartagena (cerchio rosso), non sono agibili. Il progetto prevede la costruzione di una nuova città-terminal, centro di assemblaggio delle merci cinesi, e l'ampliamento del porto della città di Buenaventura (cerchio viola). Il cerchio blu indica la posizione dello storico canale di Panama.)

giovedì 24 febbraio 2011

Mannarino's time

Mannarino all'Auditorium per la terza volta, e fa il terzo sold out. Ieri ha presentato il suo secondo album, tutti inediti. Anche se parole e musiche evocano sentimenti, oggetti, emozioni, colori, pensieri che conosco da sempre: Mannarino tocca le corde dell'anima, della quotidianità, dei segreti più intimi, è poesia evocata da un cantastorie romano, uno stornellatore dalla voce graffiante e possente.
Ieri il concerto è stato uno spettacolo, l'Auditorium è diventato una pista da ballo dove ci siamo lasciati andare ad un ritmo forsennato, poi calmo, poi malinconico, poi inarrestabile. Impossibile rimanere fermi, impossibile non farsi coinvolgere con tutto se stessi.
Le nuove tracce parlano di amore e morte, di Dio, di suore e di sottane, di politica e disperazione. Si lascia andare anche ad un singolo in francese. Geniale. Il ragazzaccio si è presentato con l'abito talare viola, vestito a Quaresima, ha cantato di Giuda e Maddalena, un amore impossibile ma sincero. Il dito puntato dalla Maddalena verso Dio ci ha messo i brividi, l'urlo che gli rivolge è una riflessione profonda e amara.
C'è anche l'onorevole, morto che cammina. Sembra non essersi reso conto che il suo mondo è finito, che appartiene al passato. Lo tengono in vita l'odio e la disperazione, niente è più abbondante sulla terra. Un merlo dona la sua vita e abbandona l'egoismo, mentre una ragazza giù al porto fa impazzire chi la guarda ballare. I sogni s'infraggono tra la tangenziale e le stagioni, l'oppio venduto un tanto al chilo e le imposizioni della religione, incomprensibili e inappellabili. C'è tanto amore: una coppia unita dagli anni, un'inconsolabile serata in discoteca, trenta euro per una moglie a ore.
Questo è il Mannarino di Super Santos, uscito dal Bar della Rabbia a testa alta e con tanta, tanta energia per tutti quelli che hanno ancora forza di ascoltare, tutti quelli che non si sono persi e sapranno affrontare il tramonto dell'umanità.


Grazie Mannarino, ieri è stata davvero una bella serata.

martedì 22 febbraio 2011

Se non ora quando?

E sì! Anche io e Massimo siamo andati alla manifestazione in difesa della dignità delle donne del 13 febbraio. O meglio, abbiamo provato ad andarci! Piazza del Popolo era stracolma di persone, di tutti i sessi e di tutte le età. Abbiamo aggirato la piazza e cercato di intrufolarci da Via Ferninando di Savoia. Siamo strisciati fra la folla, camminando a ritmo pacato, ascoltando gli interventi da un palco che non potevamo vedere, e ci siamo dileguati da Via di Ripetta. Il tempo di ascoltare Lunetta Savino recitare uno dei monologhi della vagina e ridere insieme a tanta altra gente.
Prima di andare alla manifestazione, mi sono vista con due mie amiche, a cui ho detto che andavo a manifestare anche per loro. Per tutte le donne che non sono venute. Anche per quelle che non volevano venire. Sono stata felice di esserci, anche se probabilmente non sarà servito a molto. Sapere che anche a Parigi, Barcellona e in tutta Europa, altre donne manifestavano con noi mi ha fatto venire i brividi. Come sempre. Continuiamo a lottare per i nostri diritti, per essere pagate quanto gli uomini per il lavoro che facciamo come gli uomini, per essere rispettate e non prostituite. Per far capire a Berlusconi, che ci vorrebbe tutte come Ruby o la Carfagna, che noi non ci stiamo.
Per vedere le foto della manifestazione, clicca qui.

sabato 12 febbraio 2011

Il velo di Maya: "Se non ora quando"

Il velo di Maya: "Se non ora quando": "Domenica 13 febbraio 2011 giornata di mobilitazione nazionale delle donne Guarda lo spot e firma la petizione 'Si può osservare che le nazi..."

mercoledì 9 febbraio 2011

Giornalismo 3.0

da www.labsus.org | Alessandra Potenza


Con l'avvento del terremoto-internet, alla crisi del giornalismo tradizionale si è accompagnato l'affermarsi di un nuovo modo di fare informazione, che vede protagonisti i comuni cittadini quali produttori di notizie.
Se c'è qualcosa che internet ci ha insegnato è che tutti hanno qualcosa da dire
Si parla spesso di crisi del giornalismo, calo di vendite dei quotidiani, pre-pensionamento dei giornalisti, testate sull’orlo della bancarotta. E tutto per colpa di Internet. Le notizie gratuite online sottraggono lettori ai quotidiani di carta e i siti web più popolari rubano la pubblicità, da sempre fonte di sostentamento dei media.

Giornalismo e partecipazione

Ma non tutto il male vien per nuocere. Se da una parte Internet e le nuove tecnologie mettono in crisi il giornalismo tradizionale, dall’altra esse aprono nuove opportunità di partecipazione ai comuni cittadini. I lettori non sono più solo consumatori di notizie, ma produttori di informazione. In una parola: prosumers. Un’aplologia delle parole producer e consumer che indica al meglio l’essenza dei nuovi cittadini nell’era del Web 2.0. Se c’è una cosa che Internet ci ha insegnato è che tutti hanno qualcosa da dire. Un’opinione, un commento, un’analisi, un pensiero, uno studio approfondito che rispecchia la ricerca di una vita. Le nuove tecnologie permettono ai cittadini di comunicare il proprio sapere gratuitamente, nel modo più creativo e innovativo che si possa pensare. Dagli articoli scritti sui milioni di blog che popolano l’oceano del web, alle fotografie condivise su Flickr. Dai video-inchiesta pubblicati su YouReporter.it, alle voci dell’enciclopedia comune Wikipedia.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, Internet ha permesso di sottrarre il monopolio dell’informazione dalla cerchia ristretta di giornalisti che da sempre l’hanno prodotta, controllata, canalizzata. E, in Italia, dove la potenza dei gruppi editoriali e il duopolio Rai-Mediaset della tv hanno sempre precluso il vero pluralismo dell’informazione, tutto ciò rappresenta una rivoluzione senza precedenti. La libertà di espressione, precondizione della sussidiarietà, può così prosperare.
Il citizen journalism, il giornalismo partecipativo che parte dal basso, permette alla gente comune di trasformarsi in reporter, di condurre inchieste e di denunciare le ingiustizie a livello locale. Negli ultimi anni, i media tradizionali hanno compreso il valore di questi contributi e sono nati programmi come Citizen Report di Giovanni Minoli su Rai 3, siti web partecipativi come Fai Notizia di radio Radicale e iniziative come quelle del National Geographic per invogliare i lettori a inviare le foto-degrado dei siti archeologici italiani.
Certo, il citizen journalism incoraggiato dall’espansione di Internet non sostituirà mai il giornalismo d’inchiesta delle grandi testate e dei professionisti, ma è una risorsa, ancora sottovalutata, che finirà per incrementare il livello di attivismo sociale dei cittadini e il loro coinvolgimento nella costruzione di una società più giusta. Il volto nuovo di una nobile professione iniziata secoli fa.

Una ricerca e un sondaggio

In questo scenario, Internet rappresenta una risorsa e una minaccia al tempo stesso, se non verrà utilizzato nel modo giusto. In tutto il mondo il giornalismo sta cambiando. E questa rivoluzione, più veloce di quanto si immagini, riguarda tutti, non solo i professionisti del settore, che vedono diminuire gli introiti, ma anche i cittadini, che rischiano di ritrovarsi senza un giornalismo di qualità che tiene d’occhio il potere. In che misura il web sta cambiando le abitudini di lettura e vendita dei quotidiani? I giornali di carta stanno perdendo il loro ruolo socio-culturale? Mentre negli Stati Uniti e nel resto d’Europa questi argomenti sono ampiamente discussi, in Italia sono relativamente poche le ricerche in questo campo. Cliccando su questo link (http://160caratteriperdirlo.blogspot.com/2011/01/httppolldaddy.html) è possibile partecipare ad un sondaggio, il cui obiettivo ultimo è quello di fornire un quadro più dettagliato della situazione appena esposta, capace di descrivere al meglio alcuni aspetti rilevanti di questo periodo di transizione e profondo cambiamento che sta interessando sempre più il mondo del giornalismo in generale.

martedì 8 febbraio 2011

Il Sondaggio

Il progetto è semplice: raggiungere un minimo di 1.000 partecipanti affiché il sondaggio abbia qualche valore accademico all'interno della mia tesi di laurea. La mia ricerca si concentra sui cambiamenti del giornalismo italiano. La domanda di fondo è: c'è una crisi del giornalismo tradizionale? Il sondaggio, se raggiunge un numero significativo di partecipanti, può in parte rispondere a questa domanda.
Chi di voi compra ancora un quotidiano? Chi di voi legge le notizie online e ha da tempo abbandonato i giornali di carta?

Per partecipare, cliccate sul link che segue e condividetelo con quante più persone conoscete! E' per il bene della ricerca! E, naturalmente, per il mio bene!

Grazie!

lunedì 7 febbraio 2011

Cittadini attivi a Milano

Cinque quesiti referendari sull'ambiente che piacciono ai milanesi

da www.labsus.org  mercoledì 26 gennaio 2011 | Massimo Ferraro

Il 6 Novembre scorso sono state depositate le firme dei milanesi che hanno aderito alla campagna referendaria per "la qualità dell'ambiente e la mobilità sostenibile". Ne sono state raccolte più di 25000 per ogni quesito, che sono cinque in tutto, promosso dai movimenti ambientalisti, dalle associazioni cittadine e i gruppi di volontariato milanesi. La risposta dei cittadini è stata superiore alle attese, e fa ben sperare per il referendum che si svolgerà prima di metà Maggio.
I movimenti ambientalisti e di volontariato milanese hanno compreso la richiesta dei cittadini di essere coinvolti nelle scelte che li riguardano.

A Milano l’ambiente torna prepotentemente in cima all’agenda politica. Il comitato civico “Milano si muove”, insieme a numerose associazioni, movimenti e gruppi di cittadini, ha promosso cinque quesiti referendari per migliorare la qualità della vita milanese, e la scelta di non chiedere aiuto ai partiti è stata premiata con una raccolta firme strepitosa, addirittura diecimila firme in più di quelle richieste per ogni quesito. D’altronde, Milano si muove è un’associazione trasversale, che riunisce le tante anime ambientaliste della città; non ha alcuna intenzione di essere ridotta ad una etichetta partitica, poiché l’idea di base del progetto è che alcune questioni di interesse generale, come l’ambiente, non possano essere demandate ai partiti, ma necessitino la partecipazione dei cittadini alla fase decisoria, a prescindere dalle loro preferenze elettorali.
È questo il presupposto che ha permesso il coinvolgimento di numerosi movimenti civici e singoli volontari, che sono stati premiati con 125000 firme circa, più di 25000 a quesito, ben oltre le 15000 richieste (l’1,5% degli iscritti alle liste elettorali, secondo il regolamento comunale). Il comitato ha poi verificato e autenticato tutte le adesioni, che sono state depositate il 6 Novembre scorso. Entro il 15 Maggio i cittadini milanesi dovranno esprimersi sui cinque quesiti proposti dal comitato, e se almeno il 30% di loro lo farà, e prevarrà il sì, allora gli organi comunali non potranno ignorare le richieste dei milanesi, dovendo prendere in considerazione le proposte avanzate dai propri cittadini.

I 5 quesiti del referendum

Vediamo ora nello specifico quali siano i punti focali del referendum. Il primo quesito riguarda il potenziamento dei mezzi pubblici, l’estensione di ecopass (la tassa introdotta nel 2008 sui veicoli inquinanti) e la pedonalizzazione del centro, per ridurre il traffico e gli elevati livelli di smog della città, che figura tra le prime trenta città inquinate d’Europa (nella classifica, ben diciassette sono italiane). Il secondo quesito è per raddoppiare gli alberi e il verde pubblico, riducendo contemporaneamente il consumo di suolo, e per analogia il terzo quesito è a favore della conservazione del futuro parco dell’area EXPO. Il quarto impegna il comune al risparmio energetico e la riduzione dell’emissione di gas serra, mentre il quinto è una proposta per la riapertura del sistema dei navigli milanesi.
Ogni quesito è accompagnato dalla previsione di una spesa massima per il raggiungimento degli obiettivi, corredata da proposte concrete per sopperirvi, che prevedono anche sponsorizzazioni, coinvolgimento dei cittadini e la dismissione del patrimonio immobiliare comunale, che non sia di pregio storico-monumentale. La cura dei dettagli, la concretezza delle richieste e la competenza del comitato hanno conquistato i milanesi, che hanno sostenuto la campagna referendaria con contributi volontari.

I promotori

Tra i grandi promotori del referendum vi sono Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni e attivista del Partito Radicale, Enrico Fedrighini, consigliere comunale di Milano eletto con i Verdi, ed Edoardo Croci, già assessore alla Mobilità, ai Trasporti e all’Ambiente di Milano. Fu lui ad introdurre l’ecopass nel 2008, scelta che gli costò la poltrona nel novembre 2009 a causa dell’impopolarità di quella tassa.Ma tra le ragioni che la giustificavano, vi era l’impegno ad utilizzare quel denaro per alleviare i cronici problemi ambientali di Milano, ed intervenire con il potenziamento dei mezzi pubblici, misure volte all’efficienza energetica e l’aumento delle aree verdi, proprio ciò che è alla base di tre dei cinque quesiti.

Il coinvolgimento della Rete

L’impegno dei promotori e degli altri volontari non si è limitato alla fase di raccolta firme, ma ha invaso anche il web, con l’apertura di un blog, di un gruppo su Facebbok e di un profilo su Twitter. Con l’aiuto della rete e dei social network infatti, le associazioni ambientaliste tentano di avvicinarsi ancora di più agli umori dei cittadini.
Il blog ha permesso di promuovere il referendum, coinvolgere gli internauti nel volontariato e richiedere fondi, mentre sulla nuova pagina Facebook, chiamata significativamente “I like Mi”, i milanesi possono scrivere ciò che funziona e ciò che vorrebbero venisse migliorato nella città. Scorrendo tra le richieste, ricorrono spesso le preoccupazioni per l’inquinamento dell’aria, soprattutto per gli effetti che ha sulla salute dei più piccoli; la ristrutturazione di scuole fatiscenti; nuove piste ciclabili, e il collegamento tra quelle già esistenti (che rientrava tra gli interventi da finanziare con i proventi dell’ecopass).
Grazie alla dinamicità della Rete e dei movimenti civici, i cittadini milanesi hanno compreso che veniva loro offerta la possibilità di intervenire direttamente nella politica di gestione della propria città, cogliendo l’occasione di manifestare apprezzamento per un’iniziativa che ha posto le loro richieste e le loro necessità al centro del dibattito pubblico per raggiungere obiettivi concreti, come il referendum popolare.