Visualizzazione post con etichetta studenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta studenti. Mostra tutti i post

giovedì 23 dicembre 2010

Io sono uno studente

Io sono in macchina. Cerco di uscire da Roma per raggiungere il Friuli. La tangenziale è trafficata come sempre. Penso che lo sarà ancora di più fra qualche ora, quando gli studenti occuperanno il centro. Non sarà così. Gli studenti occuperanno la strada che ora percorro. Penso a Anna, che ci metterà sempre di più a tornare a casa questa sera. Ma so che non le dispiacerà. Non nevica.
Scopro quanto è brutto non avere una connessione a Internet e non sapere cosa succede minuto per minuto. Aspetto i giornali radio con curiosità. Massimo è lì. Dove non so, ma con quell'onda che spero diventi una marea e ripulisca la spiaggia. Massimo è lì con i suoi amici, dove vorrei essere anch'io. Ci sono, con la mente e il cuore. La radio parla. Per ora nessuno scontro. Ogni tanto mi arrivano messaggi sul cellulare, il cellulare che non si connette a Internet. Sento allegria in quei 160 caratteri. Tangenziale - dove ero poco fa. Snia - dove sono spesso. La radio mi dice che non succede niente. Massimo mi dice che succede molto. Sono felice, ma le mie scarpe non si consumano su quell'asfalto.
La sera arriva presto ora che è in inverno. E io arrivo in Friuli. Niente Internet. In tv c'è solo il Tg1. Mi rifiuto di vederlo. Piuttosto aspetto. Mangio presto. Aspetto. Vedo il tg La7 e vedo, finalmente vedo, gli studenti che camminano e sorridono. Vedo quello che Massimo, Fabio e Carlo hanno visto. Vedo le macchine bloccate ma gli autisti che sorridono. Una scena mai vista a Roma. Biglietti che dicono "Daje Regà!" e persone che si affacciano ai balconi e sorridono.
Dopo cena arrivano i miei zii. Il panettone, i cioccolatini, il caffé amaro. La conversazione cade sulla politica. Mio nonno che era pastore, poi operaio, generalizza. Discorsi che a me sembrano sempre a difesa della destra. Mio zio anche si rifiuta di ascoltare ancora una volta i soliti discorsi. Parliamo della manifestazione, delle proteste. Parla degli studenti e si rivolge a me dicendo "voi". A me si riempie il cuore di orgoglio. Mio cugino lo corregge. Carlo sottolinea che sta parlando di una categoria. E io sorrido. Io sono orgogliosa.
Io sono uno studente. Io faccio parte della categoria.


mercoledì 22 dicembre 2010

Mentre noi protestavamo

Giornata particolare, emozionante. Sicuramente estenuante. Una marcia iniziata in sordina, in ritardo. Partenza ore undici, poche centinaia di studenti aspettano dalle nove e mezza sotto una pioggia sottile e fastidiosa. Sono lì, aspetto con gli altri. Il corteo parte, risale Viale delle Scienze, gira a destra in Viale dell'Università, ancora a destra in Via Regina Margherita. Poliziotti? Non ce ne sono, non ce n'è bisogno.
Si arriva in Piazzale del Verano correndo, siamo migliaia. I tamburi guidano i nostri passi, la chitarra le nostre menti, gli slogan sciolgono le nostre gole. Un ragazzo canta e suona La canzone del Maggio. Ci facciamo l'occhiolino, cerchiamo di seguirne le note nel frastuono. Camminiamo, si chiacchiera degli esami, degli esoneri passati, di politica, di Cetto La Qualunque. Sembra la gita di fine anno, siamo tutti vicini, ormai tantissimi, trascinati festosamente per San Lorenzo fino a Porta Maggiore, sotto la Tangenziale attraverso la Prenestina. Ma dove stiamo andando? Vaghiamo a vuoto! Almeno crediamo. Donne, anziani, famiglie, persone, si affacciano dalle finestre e ci guardano curiosi, tutti ci applaudono. Noi rimandiamo il saluto con un boato felice. Ma Carlo dov'è? Lo chiamo non mi risponde, mi chiama ed è cento metri dietro di me. Poliziotti? Non ce ne sono, non ce n'è bisogno.
I lavoratori si affacciano dagli uffici, come prima medici ed infermieri dal Policlinico. Spingono i nostri passi, ci abbracciano dolcemente con i loro sorrisi. Leggo speranza. Fabio, andiamo che ti faccio vedere la Snia. Vedo Diallo, riconosco Veronica che fa le foto. Ci allontaniamo pochi metri, torniamo indietro e la rampa per la Tangenziale è già piena. Dovevamo tornare a casa, dovevamo lavorare ad un articolo. Dovevamo.
Abbiamo camminato sulla Tangenziale. Daniele, Federico, Perla, Licia mi indicano un palazzo giallo in lontananza. Vedi? Vedi Laggiù? Ero senza occhiali. Vedi laggiù? Siamo noi! Siamo noi! Arriviamo fino a là! Siamo diventati un'onda, una marea, ma i poliziotti erano lontanissimi, chissà dove. Non ne ho visto uno fino alla fine della manifestazione, non mi era mai successo prima. Mi sono sentito più tranquillo, ho pensato che magari anche loro erano a manifestare con noi, come il tredici dicembre sotto la Camera.
Arriviamo al bivio per l'A24. Le macchine sono bloccate, chissà da quanto. Un uomo esce dalla sua vettura e si siede sul cofano. Dalla bretella, gli autisti ci salutano con il clacson e con la mano.


Abbiamo costretto tante persone in macchina per ore, hanno ritardato appuntamenti, hanno spento i loro motori. Ma ci hanno accolti come li stessimo liberando, come li stessimo svegliando. Io non sono facile all'ottimismo, io non credo nella speranza, ma per un attimo ne ho avuta.
Schegge impazzite in una città stanca e caotica, anche gli automobilisti ci hanno offerto il loro appoggio. Incredibile.

Ma tanto per non farsi mancare nulla, io e Fabio torniamo all'università, a studiare. Incontro Giulio: è morto un operaio, a Scienze Politiche. Mentre noi protestavamo per la nostra università, per una riforma che riteniamo dannosa, nella nostra università moriva un ragazzo. Moriva nella mia Facoltà, moriva oltre il muro delle nostre aule. Moriva accanto a noi. Non mi sono perdonato quell'attimo di ottimismo, lassù sulla Tangenziale tantissimo tempo prima, tanto tempo che sembrava un altro giorno, tanto tempo che ero un'altra persona.


mercoledì 24 novembre 2010

AAA cercasi risposte

Le proteste studentesche di questi giorni in giro per l'Europa ricordano a noi giovani i nostri "padri" del 68. Sit ins, flash mobs, dimostrazioni, slogan, occupazioni, scontri con le forze dell'ordine. A Londra gli studenti sfondano le porte della sede dei Tory, a Roma quelle del Senato. E' possibile che si sviluppi un nuovo 68 o, meglio, un nuovo 77 in Italia? Magari è già iniziato. Una cosa è certa, le opinioni e i conflitti ideologici si sono radicalizzati, proprio come nel passato. E radicalizzazione = guai.
Quali saranno le conseguenze questa volta? A cosa porteranno le manifestazioni, le proteste, i sit in pacifici? Con tutta probabilità la riforma Gelmini domani passerà. Come si svilupperà allora il nostro nuovo 68? Qui in Italia non si tratta solo della riforma universitaria, dei tagli indiscriminati approvati da uomini al potere che non rappresentano più il popolo che li ha votati. Qui si parla di futuro, di sogni che vengono infranti, di possibilità dimezzate, di fiducia infranta. Qui si parla di paura. Paura del futuro. Anche i nostri padri del 68 ce l'avevano? Oppure allora si credeva ancora nei sogni e nelle ideologie?
Sappiamo tutti come è andato a finire il 77. Gli scontri, le violenze. E poi la degenerazione nel terrorismo di una parte, neanche troppo esigua, che ci credeva ma che aveva, a poco a poco, perso contatto con la realtà. Si arriverà anche qui in Italia a inviare pacchi bomba come in Grecia le scorse settimane? Ma di chi è la colpa? Perché si arriva a questo? E' come un ciclo che si ripete. Nulla di nuovo sotto il sole, siamo d'accordo. Ma io credo che una parte di noi, almeno di noi giovani, si sia stancata dei soliti errori.
Il crollo delle borse del 29, il boom economico degli anni 50, la recessione dell'inizio del 60, la stabilizzazione, la crisi economica del 73, la stabilizzazione, la nuova crisi, la nuova recessione, la ripresa, la crisi economica del 2008. Ma perché le banche e la sete di profitto di pochi individui devono mandare sul lastrico intere società, interi paesi? Perché si deve pagare in tanti l'errore di pochi?
Ci sono delle cose che non capirò mai. Ad esempio, non capisco perché bisogna togliere i soldi all'università e continuare a spenderli per l'esercito. E non capisco perché si continui a permettere alle banche di fare quello che vogliono. Non capisco perché i manager debbano guadagnare così tanto e un professore del liceo, che forma i cittadini di domani, così poco. Non capisco perché non si distruggano le piantagioni di oppio in Afghanistan, né perché la gente continui a votare Berlusconi. Non capisco perché la gente non si indigni sapendo che Berlusconi era iscritto alla P2 e sapendo quello che la P2 ha fatto in Italia negli anni di piombo. Non capisco perché, nel mondo, si continuino a ripetere gli stessi errori.
Errare humanum est, perseverare diabolicum.
Scrivete presto se avete risposta anche a una sola di queste domande.