mercoledì 1 dicembre 2010

Pane e Cultura ( di Francesco Gentili)

“Con la cultura non si mangia”. Già, con la cultura proprio non si mangia. Ma con la cultura si vive, si esiste e si resta al mondo facendo sì che la propria permanenza su questo pianeta non sia orientata nell’esclusiva ricerca di un pasto per sfamarsi. E’ ciò che ci differenzia dai nostri predecessori; da quell’homo erectus che di simile a noi possedeva solo la capacità di restare in piedi, senza l’aiuto delle mani. E questa cultura evolve, si moltiplica, si estende da migliaia di anni. Da quando i nostri antenati hanno cominciato ad assumere quei tratti somatici che non hanno più consentito la percezione di differenze, perlomeno estetiche, tra “noi” e “loro”. Una cultura un tempo per pochi, pochissimi eletti che con il passare degli anni, dei decenni, si è estesa sempre più fino ad arrivare all’esplosione del ventesimo secolo ed allo sviluppo dei mezzi di comunicazione. Questo è quello che sappiamo noi di cultura, ammesso che tutto ciò che noi intendiamo per “incremento alla cultura” non sia solo un camuffamento, una maschera, un imbroglio. Che televisioni, radio e giornali diffusi a largo raggio siano solo una falsa cultura? Un modo per far credere a tutti di essere in possesso di metro di giudizio per poter sentenziare e farsi delle opinioni? Non lo sappiamo, ma del resto è questo il dilemma del progresso, dello sviluppo che invade i nostri ragionamenti, ormai da decenni. Di certo c’è che, anche se non sapremmo mai se quella fornita dai mass media del secolo scorso sia davvero cultura, questi ultimi hanno fatto sì che proprio lei, la cultura, arrivasse a tutti, nelle case di tutti, ricchi o poveri, istruiti o meno. E’ ciò che ci permette di conoscere, sapere, apprendere. E’ ciò che ci permette di differenziarci l’uno dall’altro.
Il ministro dell’economia di uno Stato come il nostro esprime ciò che forse tanti ritengono condivisibile, accettabile. Si accende una televisione, si apre un giornale, si sintonizza una radio e si sente un ministro della Repubblica esternare giudizi lunatici, un direttore di telegiornale che invoca il linciaggio verso coloro che esprimono il loro dissenso, editorialisti che non lasciano spazio a repliche e attaccano, puniscono, giudicano.
L’Italia migliore si mobilita. L’Italia che non ci sta, l’Italia che vuole cambiare. Ma l’Italia migliore di cui parliamo non è l’”intera generazione” che si mobilitò nel ’68. E’ una piccola parte. Sono una fetta degli studenti di un Paese stanco, senza più forza, che però non si accontentano, si ribellano, non ci stanno. Il mondo che ci impongono di vivere non ci piace, ci ripugna. E allora proviamo a cambiarlo. Manifestiamo, protestiamo, urliamo e scendiamo in piazza; tutti consapevoli che servirà a ben poco. Tutti in mobilitazione per far sì che quella cultura arrivi davvero a tutti, come quel magico articolo 34 che la Carta Costituzionale prevede.
E per chi rimane a casa, per chi crede che alla fine Tremonti tutti i torti non li abbia, per chi, sotto le coperte, si gode il tepore casalingo rimanendo all’asciutto a differenza di chi, sotto la pioggia battente, è andato ad urlare la propria rabbia per le strade, per chi crede che, tutto sommato, le cose non stiano andando poi così male, insomma per tutti coloro che da sempre vivono nell’indifferenza, che restino a casa, che rimangano al caldo. Ma quando fra trent’anni il mondo sarà diverso, modellato, cambiato vivranno nel rimpianto, in qualsiasi caso, qualsiasi sia il mondo che si troveranno davanti. Se la società sarà caduta così in basso tanto da indignare anche loro, sarà il rimorso a corrodere i propri ricordi, pronto come sempre a riproporsi ogni qual volta un immagine in bianco e nero di quegli anni passi davanti ai loro occhi.
Se così non dovesse essere, sarà invece l’invidia, lo strazio a provocar loro fastidio, frustrazione. Quel mondo che sembrava andar loro bene, non era poi così perfetto, poteva essere migliore; e quelle marce sotto la pioggia, quelle camminate nel freddo invernale e quelle grida verso il potere forse, con il senno di poi, un senso ce l’avevano.
Allora, anche se non credete nell’effetto di quello che andate a fare, attivatevi, mobilitatevi agitatevi, perché, un giorno, sarà dura, durissima vivere di rimpianti, di occasioni perdute.
In tanti ci accusano di essere gli unici a credere in un ideale, pur conoscendo l’utopia che quell’ideale racchiude. E’ necessario sapere che un ideale, come il Nord, come la Stella Polare, sia irraggiungibile; ma almeno, per quanto mi riguarda, indica la strada da seguire.

Francesco Gentili
 

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